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Avv. Paola Corte

Origine del grano sulla pasta - il TAR conferma la sanzione da 1 milione di euro dell'AGCM




Il 13 febbraio 2023 il TAR del Lazio ha confermato la sanzione di 1 milione di euro a LIDL per l'etichettatura di origine della pasta, che era stata comminata dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) il 20 dicembre 2019.

L'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha accertato l'esistenza di una pratica commerciale scorretta ai sensi degli articoli 21 e 22 del Codice del Consumo relativamente alle confezioni di pasta secca di Lidl Italia a marchio "Italiamo", "Fusilli Pasta di Gragnano IGP" e "Combino". In breve, la pasta era prodotta in Italia, con semola di grano duro italiano, ma il grano duro (unico ingrediente della semola) non era interamente italiano. La pratica commerciale scorretta, secondo l'AGCM, consisteva nell'indurre in errore il consumatore, non evidenziando a sufficienza che questi prodotti erano realizzati con grano non interamente italiano. L'origine del grano era scritta sulla confezione, ma si trovava sul pannello laterale, ovvero sul retro della confezione, e quindi non era evidenziata con la stessa evidenza grafica degli altri elementi che richiamavano l'italianità del prodotto sul fronte della confezione.

La sentenza è interessante perché affronta diversi temi rilevanti, tra cui: il rapporto tra le pratiche commerciali scorrette e le norme sull'etichettatura degli alimenti, la nozione di "ingrediente primario", il riferimento "consumatore medio" e la sintesi della recente (gennaio 2023) sentenza relativa al Decreto Interministeriale del 26 luglio 2017, che è il decreto che stabilisce i requisiti di etichettatura di origine del grano duro e della semola di grano duro sulle confezioni di pasta secca in Italia.


Indice


1. La pratica commerciale scorretta

Per quanto riguarda le confezioni di pasta a marchio "Italiamo", il fronte della confezione riportava in modo evidente il nome evocativo del marchio "Italiamo", l'immagine della bandiera italiana, la dicitura "Passione Italiana", nonché l'indicazione "IGP" nel caso della Pasta di Gragnano IGP.



Invece, l'indicazione sull'origine del grano (UE e non UE) è stata riportata solo sul lato o sul retro della confezione, in caratteri piccoli e in una posizione non immediatamente visibile.


Allo stesso modo, le confezioni di pasta a marchio "Combino" erano caratterizzate da forti richiami all'italianità, costituiti da immagini di paesaggi tipici italiani, da una coccarda o da un cuore con i colori della bandiera italiana, accompagnati dalla scritta "Prodotto in Italia" e dall'indicazione "Specialità italiana".

Anche in questo caso, l'indicazione sull'origine del grano aveva una collocazione marginale: era riportata in caratteri piccoli sul retro della confezione, peraltro non visibile sul sito web di Lidl.




2. Il rapporto tra il codice del consumo (pratiche commerciali sleali) e le norme sull'etichettatura dei prodotti alimentari - Reg. (UE) 1169/2011-

Il TAR ha richiamato i precedenti che hanno richiamato la CGUE, nella sentenza del 13 settembre 2018, nelle cause C-54/17 e C-55/17, dove la Corte europea ha affermato che c'è prevalenza della disciplina settoriale (in questo caso - norme sull'etichettatura dei prodotti alimentari) sulla normativa generale (in Italia, del Codice del Consumo) solo se si può individuare un "contrasto" insanabile. La nozione di "contrasto" denota una relazione che va oltre la semplice dissomiglianza o la semplice differenza. Deve esserci una divergenza che non può essere superata da una formula inclusiva che permetta la coesistenza di entrambe le realtà, senza la necessità di snaturarle. Quindi, secondo la Corte, il contrasto sussiste solo quando disposizioni di stretta derivazione comunitaria, che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, impongono ai commercianti obblighi "incompatibili" con quelli stabiliti dalla Direttiva 2005/29, senza alcun margine di manovra, dando luogo a una divergenza inconciliabile che non ammette la coesistenza di entrambe le normative. Poiché in questo caso non è ravvisabile alcun conflitto, il rapporto tra le due discipline non è di specialità e possono quindi essere applicate in parallelo. Il TAR ha richiamato anche un altro precedente, in cui aveva ribadito che la normativa sull'etichettatura e sugli integratori alimentari e quella sulla tutela del consumatore sono tra loro complementari e non alternative, sicché sussiste la competenza dell'AGCM a valutare la scorrettezza di una pratica commerciale, anche alla luce dei criteri generali e dei requisiti specifici previsti dalla normativa sui "claims" (Tar Lazio, 3 giugno 2019; si vedano anche Tar Lazio, 9 aprile 2019, n. 4630, 4 aprile 2013, n. 6596 e 3 luglio 2012, n. 6027).

La sentenza ha inoltre ribadito che il rispetto della normativa settoriale non esaurisce gli obblighi di diligenza gravanti sul professionista, il quale deve comunque porre in essere quegli ulteriori comportamenti che derivano comunque dall'applicazione del più generale dovere di completezza informativa previsto dal Codice del Consumo, alla stregua del principio di buona fede che ispira tutta la normativa a tutela del consumatore (Tar Lazio, Sez. I, 24 settembre 2020, n. 9762), anche a prescindere e, comunque, in aggiunta agli obblighi informativi previsti dalla normativa di settore.


3. Il rapporto tra consumatori italiani ed etichettatura d'origine

Secondo i dati valutati dall'AGCM nel corso delle indagini, la conoscenza dell'origine della materia prima dei prodotti alimentari è, per i consumatori italiani, un elemento particolarmente rilevante della scelta di consumo: è la variabile di scelta più considerata dai consumatori italiani nella scelta dei prodotti alimentari; è l'aspetto singolarmente più rilevante nella scelta del prodotto, superando anche il prezzo del prodotto, secondo altre indagini. Secondo una recente indagine demoscopica condotta da Ismea, il 78% dei consumatori intervistati si sente rassicurato dall'origine "100 % italiana" del prodotto, che viene percepita da oltre il 90% di loro come garanzia di qualità e bontà del prodotto e di rispetto delle norme di sicurezza alimentare.


4. La diffusione dell'etichettatura di origine italiana in Italia

L'AGCM ha ricordato che l'importanza attribuita dai consumatori italiani all'origine dei prodotti e delle materie prime alimentari trova una precisa evidenza nella diffusione di prodotti alimentari che riportano in etichetta un richiamo all'italianità (bandiere italiane e indicazioni "made in Italy", "prodotto in Italia", "solo ingredienti italiani", "100 % italiano", oltre ai marchi di qualità UE). Circa un quarto delle referenze alimentari vendute nei supermercati italiani presenta tali richiami, con una preponderanza dell'uso delle bandiere italiane (circa il 14% dei prodotti, corrispondenti a circa 10.000 referenze).


5. Requisiti per l'etichettatura di origine

La sanzione dell'AGCM, confermata dalla sentenza, afferma che al di là del mero rispetto delle norme sull'etichettatura, avendo scelto di enfatizzare l'italianità del prodotto, l'etichettatura imponeva al professionista di controbilanciare tale enfasi con una più evidente e contestuale indicazione dell'origine del grano duro in etichetta.

Il Regolamento (UE) 1169/2011, che mira a garantire un elevato livello di protezione dei consumatori in materia di informazioni sugli alimenti, stabilisce all'articolo 7 che l'indicazione del Paese di origine o del luogo di provenienza di un prodotto deve essere fornita in modo da non indurre in errore il consumatore.

Il Regolamento n. 2018/775 non era applicabile all'epoca. Tuttavia, un esame delle disposizioni del Regolamento 1169/2011, secondo la Corte, conferma che l'Autorità ha valutato correttamente l'importanza delle informazioni fornite sulla confezione del prodotto e la necessaria contestualità delle indicazioni di origine: esse devono essere inserite nello stesso contesto visivo.


6. la nozione di "ingrediente primario"

La nozione di ingrediente primario, di cui all'art. 2, comma 2, lettera q), del Regolamento (UE) n. 1169/2011, fa leva sia sul criterio quantitativo ("primario" è l'ingrediente che rappresenta più del 50% dell'alimento) sia sul criterio qualitativo (l'ingrediente generalmente associato alla denominazione dell'alimento nella percezione dei consumatori). Nel caso in esame, come dimostrato dalle indagini di mercato richiamate, l'ingrediente generalmente associato al nome della pasta, nella percezione dei consumatori, è il grano duro, che è la componente fondamentale del prodotto. L'origine della semola, che si ottiene dalla mera lavorazione meccanica di un'unica materia prima, il grano duro, senza alterarne le caratteristiche, non è rilevante in questo caso. Secondo la Corte, quindi, non si può validamente sostenere che il produttore non fosse tenuto a indicare l'origine del grano duro, dato che sia la semola che il prodotto alimentare (la pasta) erano entrambi prodotti in Italia. Seguendo le interpretazioni del Tribunale e dell'AGCM, secondo il Regolamento UE 1169/2011, vi era l'obbligo, in ogni caso, di fornire informazioni corrette e visibili sul luogo di origine del prodotto e della materia prima utilizzata (grano duro).


7. Il decreto italiano che impone l'etichettatura di origine del grano duro e della semola di grano duro nella pasta

Il Decreto Interministeriale del 26 luglio 2017 (in vigore all'epoca e poi, via via, prorogato, infine fino al 31 dicembre 2022), relativo alla "Indicazione di origine, in etichetta, del grano duro per la pasta di semola di grano duro", secondo cui le "indicazioni sull'origine di cui agli articoli 2 e 3 [Paese di coltivazione del grano e Paese di molitura] sono apposte sull'etichetta in un punto evidente e nello stesso campo visivo in modo da essere facilmente visibili, chiaramente leggibili e indelebili" (art. 4, comma 2). Le obiezioni sulla validità del decreto italiano sono già state esaminate e disattese dalla Corte, con la sentenza della Sezione V, n. 1291 del 25 gennaio 2023. In quella sentenza, il TAR ha chiarito che "la mancata adozione da parte della Commissione europea degli atti esecutivi di cui all'art. 26, par. 8, del Regolamento n. 1169/2011, non preclude allo Stato membro la possibilità di dettare, nel frattempo, una disciplina nazionale accompagnata - come nel caso di specie - dalla clausola di cedevolezza (cfr. art. 7, par. 2, del decreto impugnato), di etichettatura dell'origine della materia prima per la pasta di semola di grano duro, al fine di garantire maggiore sicurezza e trasparenza nei confronti dei consumatori. Inoltre, il decreto in questione prevede espressamente che i nuovi requisiti non si applichino ai prodotti legalmente fabbricati o commercializzati in un altro Stato membro dell'UE o in un Paese terzo (art. 6), per cui la presunta interferenza dei nuovi requisiti con la libertà di circolazione delle merci ai sensi del Trattato UE deve essere considerata priva di fondamento.

Va infine rilevato che la notifica del decreto alla Commissione europea è stata effettuata dal Governo italiano l'8 settembre 2017, cioè con largo anticipo rispetto alla data fissata per l'entrata in vigore del decreto stesso (febbraio 2018), senza che sia stato espresso alcun commento negativo nel merito". La sentenza ha affrontato anche la censura relativa al divieto di "discriminazione alla rovescia", rilevando che "l'articolo 6 del decreto contiene la cd. clausola di mutuo riconoscimento in base alla quale 'le disposizioni del presente decreto non si applicano ai prodotti legittimamente fabbricati o commercializzati in un altro Stato membro dell'Unione europea o in un Paese terzo', con l'ovvia conseguenza che, per quanto riguarda le quote di mercato estero (UE ed extra UE), il produttore italiano è soggetto alle stesse norme di etichettatura delle aziende di altri Stati membri, potendo commercializzare all'estero la pasta prodotta in Italia senza dover applicare le norme del decreto impugnato".

8. Il consumatore medio è il consumatore italiano

La nozione di "consumatore medio" si riferisce "a un soggetto normalmente informato e ragionevolmente avveduto, tenuto conto delle caratteristiche del mercato in cui tale tipologia opera le proprie scelte" (Consiglio di Stato, 14 ottobre 2019, n. 6984). Nel caso di specie, le valutazioni effettuate dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato riguardano le scelte di acquisto dei consumatori nel mercato italiano, per cui la percezione dei consumatori italiani è stata correttamente presa in considerazione al fine di verificare il potenziale impatto del messaggio sui comportamenti dei potenziali acquirenti del prodotto.

In senso conforme, del resto, lo stesso Regolamento UE n. 1169/2011 prevede all'art. 1 che esso stabilisca norme volte a garantire un elevato livello di tutela dei consumatori in materia di informazioni sugli alimenti, "tenendo conto delle differenze nella percezione e nelle esigenze di informazione dei consumatori."


9. Conclusioni. - Consulenza legale sull'etichettatura d'origine degli alimenti

L'Italia è molto particolare per quanto riguarda l'etichettatura d'origine degli alimenti. Esistono diverse leggi nazionali, alcune generali e altre specifiche per i prodotti, che richiedono o vietano l'etichettatura d'origine, a seconda dei casi. È necessario conoscere la legislazione europea e nazionale, nonché le interpretazioni nazionali, per poter valutare la conformità dell'etichettatura degli alimenti destinati al mercato italiano.


Per maggiori informazioni: info@studiolegalecorte.it


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